Il tema è interessante: una palpata di sedere …nel metaverso!
Non è una provocazione, ma un fatto realmente accaduto: ad una donna è stato toccato “lato B”, ma in questo meta-mondo che non sappiamo ancora definire: parallelo, sovrapposto o integrato a quello reale? La domanda non è priva di importanza dal punto di vista legale. Se infatti l’atto è in ogni caso deprecabile – che avvenga in questo ecosistema futuristico o in una piazza di paese poco rileva infatti – resta da capire se esso possa esser anche penalmente illecito.
Partiamo da un caso di cronaca: tutti ricordano l’episodio della giornalista molestata fuori dallo stadio. A prescindere dai toni delle reazioni e dei commenti, resta una certezza: il soggetto che “ha toccato” ora subirà un processo per violenza sessuale.
In quel caso però è intuitivo capire che la violazione è chiara: c’è stato il contatto, c’è stata l’offesa. Palese. Ma cosa accade al reato se, anziché esserci un contatto tra polpastrelli e sedere, c’è solo un flusso di bit da computer a computer (perdonate la banalizzazione)? Quale importanza può avere la materialità o non materialità nell’offesa?
Serve attenzione: non si deve giungere ad una semplificazione eccessiva. Non ci si può limitare a dire che se non c’è materia non c’è reato, perchè questo cozzerebbe sia con la giurisprudenza (che ha riconosciuto in diversi casi violenza sessuale a distanza, che punisce applicando la legge il possesso di materiale pedopornografico in un pc ecc.) sia con il buon senso. Non è corretto spingersi a rendere scriminante l’ecosistema in cui viene posta in essere la condotta: il fatto che sia un ambiente digitale, che le persone siano avatar, che non ci sia tocco… insomma: se possono esser tutti temi che ci portano lontano da una esperienza classica, certo non possono esser tali da far ammettere un “è tutto lecito perchè non c’è offesa reale”.
Ma ne siamo sicuri? Siamo sicuri che non ci sia offesa reale? La donna a cui hanno toccato il sedere – di persona oppure nel metaverso – ha subito una offesa nella sua dignità che, per inciso, è un bene dell’anima e non materiale.
Forse oggi una risposta al quesito che ci occupa è prematura. Serve spingersi infatti nella natura, oggi ancora acerba, del metaverso. Un mondo dove sarà possibile giocare, dove il proprio avatar interagirà con quelli degli altri, o forse dove ad interagire non sarà l’alter ego digitale, ma la nostra persona tout court. E cosa sarà ammissibile? Pensiamo a un mondo dove sarà lecita l’eliminazione dell’altro? Proviamo a pensarci: è un mondo in cui magari in un gioco sarà possibile e ammessa la nostra eliminazione, l’uccisione (che è oggettivamente “offesa massima”), ma molto meno una lesione della nostra dignità sessuale. Apparentemente un paradosso. Ma solo per chi non sarà in grado di leggere il nuovo ecosistema.
Ora, per concludere: ritengo che la soluzione sia ancora uno sguardo all’uomo. Viviamo, come è stato detto, onlife (termine che dobbiamo al filosofo Luciano Floridi). Ecco, forse la conclusione dovrebbe esser che ciò che resta online, ciò che non offende la nostra vita reale, allora resta confinato in quel mondo di mezzo. Ma ciò che lederà, in un modo o nell’altro, la nostra persona “reale”, ciò che toccherà di fatto la parte “life” del neologismo coniato da Floridi, allora – non ci piove – l’illecito resta. Potranno quindi eliminarci, ma non toccarci.
Avv. Federico Vincenzi
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